CONTRATTO D’AGENZIA E LAVORO SUBORDINATO

Il recesso dal contratto di agenzia  da parte o committente non puo trovare giusta causa nella minaccia dell’agente di far valere i propri diritti rispetto alle  prestazioni lavorative  aggiuntive di tipo subordinato  .

 Lo afferma la Cassazione con la sentenza 3917  del 17.2.2020  accogliendo il  (doppio ) ricorso di una lavoratrice con contratto di agenzia che  chiedeva di essere regolarizzata e remunerata per il lavoro subordinato che aveva svolto    parallelamente a quello di agenzia. La società aveva comunicato il recesso dal contratto di agenzia per giusta causa  ma tale  definizione non aveva fondamento  secondo la ricorrente che portava prove testimoniali del lavoro svolto e chiedeva  il risarcimento della somma di euro 260.000,00 per retribuzioni non corrisposte, ferie, permessi non goduti e TFR.  Sia il Tribunale che la Corte di appello avevano respinto il ricorso , considerando sussistente la giusta causa  ex art. 2119 cod. civ.  perche la pretesa avanzata dalla ricorrente  veniva considerata “pesante ” da primo giudice .

 La Corte di appello di Brescia, dice la Cassazione,  errava nel respingere l’impugnazione basata  sulle  seguenti considerazioni:

” le pretese formulate dall’appellante si fondavano su una rilettura del rapporto  in essere, tale da portare a rivendicare corrispettivi di ingente entità, nascenti  da fattispecie incompatibili, ossia la coesistenza del contratto di agenzia e del rapporto di lavoro subordinato; in tal senso doveva essere letta l’argomentazione del primo giudice;
– si era in presenza di un conflitto tra le rivendicazioni avanzate, restando  irrilevante che le pretese avessero costituito oggetto di due distinte domande;
– può essere richiamato in via analogica l’art. 1438 cod. civ., fattispecie che si  realizza quando il fine ultimo perseguito da una delle parti consiste nella  realizzazione di un risultato abnorme, incompatibile con i principi giuridici;
– nel caso di specie, è giuridicamente inconcepibile che un unico rapporto sia  caratterizzato dalla compresenza di due fattispecie diverse per natura e  presupposti e dia luogo a pretese di natura economica che non possono essere  cumulate;
– la minaccia di far valere il diritto di corrispettivi asseritamente spettanti per  entrambe le fattispecie, del tutto differenti e non compatibili tra loro, non  poteva che essere considerata ingiusta ed iniqua e come tale costituire giusta  causa di recesso da parte del soggetto destinatario di tali rivendicazioni. 

La cassazione  respinge queste argomentazioni  sulla presentazione formale del ricorso e ricorda  invece che  effettivamente la  minaccia di far valere un diritto puo costituire  causa di annullamento del contratto  ma solo se punta ad risultato iniquo ed abnorme, diverso   dall’affermazione del diritto stesso, o nell’ipotesi nella quale la minaccia abbia effettiva funzione intimidatoria della condotta, volta a condizionare la volontà dell’altro contraente . Situzione non verificatasi nel caso in oggetto.

La sentenza viene quindi cassata e rinviata alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione.

LA SENTENZA

  Civile Sent. Sez. L Num. 3917 Anno 2020 Presidente: DI CERBO VINCENZO Relatore: BLASUTTO DANIELA Data pubblicazione: 17/02/2020 2019 4014 SENTENZA sul ricorso 27555-2018 proposto da:

SCAPIN GIOVANNA, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 7, presso lo studio dell’avvocato LUCIA ZACCAGNINI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO DELLA LUNA;

– ricorrente –

contro

SOCIM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI l, presso lo studio dell’avvocato DANIELE MANCA BITTI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENRICO BERTONI e FILIPPO VITTORIO RONDANI;

– controricorrente – E SUL RICORSO SUCCESSIVO SENZA NUMERO DI R. G.

proposto da:

SCAPIN GIOVANNA, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 7, presso lo studio dell’avvocato

LUCIA ZACCAGNINI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO DELLA LUNA;

– ricorrente successivo – nonchè contro

SOCIM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI ], presso lo studio dell’avvocato DANIELE MANCA BITTI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENRICO BERTONI e FILIPPO VITTORIO RONDANI;

– controricorrente al ricorso successivo – avverso la sentenza n. 62/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 13/07/2018, R. G. N. 476/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso pe il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARCO DELLA LUNA;

udito l’Avvocato BENEDETTA LUBRANO per delega verbale avvocato DANIELE MANCA BITTI.

FATTI DI CAUSA

1. Giovanna Scapin adiva il Giudice del lavoro del Tribunale di Brescia per ottenere la condanna della società Socim s.p.a. al pagamento di spettanze connesse al recesso, che assumeva privo di giusta causa, dal rapporto di agenzia da parte della società resistente, nonché per ottenere il pagamento delle provvigioni maturate durante il rapporto e per l’accertamento dello svolgimento di mansioni ulteriori rispetto a quelle proprie dell’agente, da qualificare come relative ad un rapporto di lavoro subordinato, che si affiancava a quello di agenzia, con conseguente condanna della società convenuta al pagamento, per tale titolo, della somma di euro 260.000,00 per retribuzioni non corrisposte, ferie, permessi non goduti e TFR.

2. Con sentenza parziale il Tribunale di Brescia dichiarava la nullità del ricorso introduttivo in relazione alle domande correlate al dedotto svolgimento di mansioni ulteriori sotto il vincolo della subordinazione. Avverso tale sentenza non veniva proposta dalla ricorrente riserva di appello ai sensi dell’art. 340 c.p.c.. Proseguito il giudizio, all’esito della prova testimoniale il giudice adito accoglieva parzialmente le domande avanzate alla Scapin e riteneva da giusta causa il recesso della società resistente. Seguiva sentenza definitiva, con la quale la società convenuta veniva condannata al pagamento, in favore della ricorrente, delle differenze dovute per provvigioni.

3. Giovanna Scapin proponeva appello avverso la sentenza definitiva per impugnare la statuizione con cui era stata ritenuta sussistente la giusta causa ex art. 2119 cod. civ. unicamente nella pretesa, avanzata dalla ricorrente e qualificata “pesante” dal primo giudice, diretta al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato in aggiunta al rapporto di agenzia, ossia una pretesa di regolarizzazione di un rapporto di lavoro.

4. La Corte di appello di Brescia, con sentenza n. 62/2018, respingeva l’impugnazione sulla base delle seguenti considerazioni:

– le pretese formulate dall’appellante si fondavano su una rilettura del rapporto in essere, tale da portare a rivendicare corrispettivi di ingente entità, nascenti da fattispecie incompatibili, ossia la coesistenza del contratto di agenzia e del rapporto di lavoro subordinato; in tal senso doveva essere letta l’argomentazione del primo giudice;

– si era in presenza di un conflitto tra le rivendicazioni avanzate, restando irrilevante che le pretese avessero costituito oggetto di due distinte domande;

– può essere richiamato in via analogica l’art. 1438 cod. civ., fattispecie che si realizza quando il fine ultimo perseguito da una delle parti consiste nella realizzazione di un risultato abnorme, incompatibile con i principi giuridici;

– nel caso di specie, è giuridicamente inconcepibile che un unico rapporto sia caratterizzato dalla compresenza di due fattispecie diverse per natura e presupposti e dia luogo a pretese di natura economica che non possono essere cumulate;

– la minaccia di far valere il diritto di corrispettivi asseritamente spettanti per entrambe le fattispecie, del tutto differenti e non compatibili tra loro, non poteva che essere considerata ingiusta ed iniqua e come tale costituire giusta causa di recesso da parte del soggetto destinatario di tali rivendicazioni.

5. Per la cassazione di tale sentenza Giovanna Scapin ha proposto due distinti ricorsi, il primo, articolato in cinque motivi, notificato il 15 settembre 2018, cui ha fatto seguito in data 30.10.2018 il deposito di istanza di ammissione a gratuito patrocinio. Su tale ricorso la società si è difesa con controricorso notificato in data 29.10.18.

5.1. Con il secondo ricorso, basato su dieci motivi, notificato 1’8 novembre 2018, la Scapin ha inteso “ovviare a possibili vizi formali del medesimo”. Il secondo ricorso è stato depositato il 22 novembre 2018. Ha fatto seguito un secondo controricorso della società, in cui si è eccepita l’inammissibilità del nuovo ricorso.

• 6. La ricorrente ha altresì depositato memoria di replica ex art. 378 cod. proc. civ..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, quanto alla ammissibilità dei ricorsi, va premesso che la sentenza impugnata è stata depositata il 13.7.2018 e trova applicazione ratione temporis l’abbreviazione del c.d. termine lungo a sei mesi ex art. 327 cod. proc. civ.. La scadenza del termine per impugnare era dunque il

13.1.2019, da cui l’ammissibilità del primo ricorso.

Anche il secondo ricorso è ammissibile, in quanto notificato l’8.11.18 e dunque tempestivo, oltre che rispetto al termine lungo (sei mesi decorrenti dal

13.7.2018), altresì rispetto al termine di sessanta giorni decorrenti dalla notifica del primo ricorso (15.9.2018). Non è intervenuta alcuna pronuncia di inammissibilità o improcedibilità del primo ricorso.

1.1. Nel caso in cui una sentenza sia stata impugnata con due successivi ricorsi per cassazione, la seconda impugnazione deve essere notificata entro la scadenza del termine breve decorrente dalla notificazione della prima impugnazione, che dimostra la conoscenza legale della decisione da parte del ricorrente (Cass. S.U. n. 10266 del 2018). Nel caso in cui una sentenza sia stata impugnata con due successivi ricorsi per cassazione, è ammissibile la proposizione del secondo, anche quando contenga nuovi e diversi motivi di censura, purché la notificazione dello stesso abbia avuto luogo nel rispetto del termine breve decorrente dalla notificazione del primo, e l’improcedibilità di quest’ultimo non sia stata ancora dichiarata, non comportando la mera notificazione del primo ricorso la consumazione del potere d’impugnazione (cfr. Cass. n. 21145 del 2016; conforme Cass. n. 11513 del 2018).

1.2. Nel caso in esame, non sono stati neppure introdotti con il secondo ricorso nuovi motivi, ma si è provveduto a scindere i motivi unitari, originariamente formulati, nelle articolazioni riferibili agli specifici vizi denunciati. Il primo ricorso recava cinque motivi, mentre il secondo, sostitutivo del precedente, è articolato su dieci motivi, con riguardo alle medesime violazioni di legge.

2. Tanto premesso, esaminando il secondo ricorso, sostitutivo del primo, si rileva che, con il primo motivo, è denunciata violazione degli artt. 24 e 36 Cost. e falsa applicazione degli artt. 1751 e 2119 cod. civ.. Si contesta che possa costituire giusta causa di recesso la formulazione di una rivendicazione economica, da parte del lavoratore, anche se particolarmente onerosa, stante il preminente diritto costituzionale di cui all’art. 24 Cost.. La ricorrente aveva chiesto di essere regolarizzata e remunerata per il lavoro dipendente che aveva svolto per la società in aggiunta a quello di agenzia. Neppure il Tribunale aveva fatto allusioni ad una incompatibilità con le altre pretese avanzate.

3. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 132 n. 4 e 118 cod. proc. civ. per avere la sentenza impugnata affermato di condividere l’assunto del primo giudice circa la pretesa incompatibilità delle richieste epistolari della lavoratrice, mentre invece il Tribunale non aveva fatto tale affermazione limitandosi ad affermare che le richieste erano soltanto “pesanti”.

4. Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 1751 e 2119 cod. civ. in quanto il giudice di appello ha affermato che la ricorrente aveva avanzato una domanda basata su presupposti tra loro incompatibili, mentre la ricorrente aveva inequivocabilmente dedotto non uno, bensì due rapporti di lavoro coesistenti, quello di lavoro subordinato in aggiunta e coesistente a quello di agenzia.

5. Con il quarto motivo si denuncia falsa applicazione degli artt. 175t.e 2119 cod. civ., dell’art. 5 legge 204 del 1985 e violazione degli artt. 1 e 36 Cost. L’incompatibilità giuridica prospettata dalla sentenza allude all’art. 5, comma 3, della legge 204 del 1985 che disciplina la professione degli agenti di commercio e che dichiara che la condizione di lavoratore dipendente è incompatibile con l’iscrizione all’albo degli agenti di commercio. Tuttavia ciò non comporta che, ove ciò nei fatti avvenga, ne consegua la perdita dei diritti spettanti al dipendente, perché ciò contrasterebbe con gli artt. 1 e 36 Cost..

6. Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. perché non è stato motivato – o comunque non in modo comprensibile – come la ricorrente possa avere prospettato con riguardo ad un unico rapporto di lavoro pretese in parte riferibili al rapporto di agenzia e in parte riferibili al rapporto di lavoro dipendente. Si trattava di due distinte domande con diverse causae petendi.

7. Con il sesto motivo si denuncia violazione degli artt. 132 n.4 e 118 disp. att. cod. proc. civ. per non avere la Corte di appello esaminato il fatto decisivo costituito dall’avere la ricorrente reso prestazioni ulteriori rispetto ai compiti di agente, ossia prestazioni esulanti dallo schema negoziale dell’agenzia. Si denuncia altresì la violazione delle medesime disposizioni per avere la sentenza omesso di motivare in ordine al procedimento logico-giuridico con cui era arrivata a ritenere pretestuose ed inique le richieste di un compenso per prestazioni aggiuntive diverse rispetto a quelle rivendicate per lo svolgimento dell’attività di agente.

8. Con il settimo motivo si denuncia violazione degli artt. 1751 e 2119 cod. civ. nonché dell’artt. 132 n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. nella parte in cui la sentenza ha affermato che le due pretese erano state avanzate con due azioni giudiziali distinte sennonché al tempo del recesso, ossia al 30 marzo 2012, nessuna azione giudiziaria era ancora stata avviata in quanto l’unico ricorso, relativo ad entrambe le pretese, venne depositato il 19 ottobre 2012. Dunque il recesso non poteva fondarsi sulla circostanza dell’introduzione del giudizio, che a tale data non era ancora avvenuta. La Corte ha applicato falsamente gli artt. 1751 e 2119 cod. civ., che presuppongono un fatto verificatosi prima del recesso e non dopo di esso.

9. Con l’ottavo motivo si denuncia violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in quanto con la medesima motivazione oggetto del precedente motivo la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto che sussistesse la giusta causa di recesso, mentre la data del recesso era anteriore a quella dell’avvio delle cause di lavoro per cui il giudizio espresso dal giudice di appello deve ritenersi del tutto assente in ordine alla giusta causa di recesso.

10. Con il nono motivo si denuncia falsa applicazione dell’art. 1438 cod. civ. nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto applicabile tale norma per analogia. Innanzitutto, ai fini dei criteri di applicabilità dell’analogia di cui al secondo comma dell’art. 12 cod. civ. le lacune della disciplina codicistica del rapporto di agenzia di cui agli artt. 1742 e seguenti cod. civ., per costante giurisprudenza, sono integrate dall’applicazione analogica delle norme sul rapporto di lavoro dipendente ed in particolare, per quanto riguarda il -recesso, dall’art. 2119 cod. civ.. In secondo luogo, nessuna analogia è ravvisabile nella concreta fattispecie rispetto all’ipotesi regolata dall’art. 1438 cod. civ.. Tale norma tutela la libera volontà delle parti nel contrarre; essa concerne la fase genetica dei contratti e contempla un vizio della volontà pattizia comportante la possibilità di annullare il contratto per un vizio scaturente da un ricatto. Nel caso di specie, invece, non viene in considerazione la stipulazione di alcun contratto, né un vizio della volontà, né alcuna causa di annullabilità. Neppure potrebbe invocarsi l’art. 1438 cod. civ. come espressione del generale principio inteso a sanzionare atti emulatori. Infatti non vi è stato alcun accertamento che l’azione della ricorrente, attinente al rapporto di lavoro dipendente, fosse infondata o temeraria e comunque restano prevalenti i diritti costituzionali di

tutela del lavoro garantiti dall’art. 36 Cost., anche in relazione all’art. 1 Cost.. 11. Con il decimo motivo si censura la sentenza per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e violazione dell’art. 6

CEDU, dell’art. 111 comma 6, Cost. E’ nulla la sentenza di appello, funzionalmente inesistente, ossia inidonea a raggiungere il suo scopo, per non avere spiegato le ragioni della decisione Seppure graficamente esistente, la sentenza è assente o meramente apparente e trova applicazione nel caso di specie l’orientamento interpretativo secondo cui (Cass. 10157 del 2017 e 1861 del 2018) la motivazione tautologica o apodittica diviene meramente apparente.

12. E’ fondato il nono motivo, restando assorbito nel relativo accoglimento l’esame dei restanti.

12.1. Premesso che l’eventuale “conflittualità” in punto di ricostruzione giuridica del rapporto (o dei due coesistenti rapporti, secondo la prospettazione della ricorrente) è questione rilevata in sede giudiziale e non poteva costituire, in tali termini, una ragione posta a base del recesso, all’evidenza anteriore alla introduzione del giudizio, tale preliminare rilievo non comporta comunque la nullità della sentenza per essere questa comunque argomentata in ordine al richiamo dell’art. 1438 cod. civ., su cui la sentenza si fonda per avvalorare la tesi della preponente della giusta causa di recesso.

13. Sul punto, il ricorso per cassazione è fondato e va accolto.

13.1. A norma dell’art. 1438 cod. civ., “la minaccia di far valere un diritto può

essere causa di annullamento del contratto solo quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusti”. Non solo tale situazione si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto medesimo, sia iniquo ed esorbiti dall’oggetto di quest’ultimo, e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall’ordinamento (v. Cass. 20305 del 2015, v. pure Cass. 17523 del 2011, n. 28260 del 2005), ma la minaccia rilevante ai sensi di legge è concretamente ravvisabile, sotto il profilo dell’effettiva funzione intimidatoria del comportamento, soltanto se venga prospettato un uso strumentale del diritto o del potere diretto al condizionamento della volontà dell’altro contraente (o del dichiarante negli atti unilaterali) (cfr. Cass. n. 6426 del 1996).

13.2. Nel caso in esame, la Corte di appello ha ritenuto sussumibile la fattispecie concreta in quella astratta di cui all’art. 103 cod. civ., ritenuta applicabile per analogia, senza chiarire quale fosse il condizionamento della volontà del destinatario della richiesta e se vi fosse un negozio, posto in essere dalla preponente, viziato e suscettibile di annullamento per tale motivo.

13.3. Per quanto risulta dalla sentenza impugnata, è stata invece la preponente che, a fronte della rivendicazione avanzata dalla Scapin, ha esercitato il proprio potere di recesso, la cui giusta causa ex art. 2119 cod. civ. – venuto meno il fondamento giuridico su cui la decisione impugnata si fonda, a

fronte di una situazione che, all’evidenza, esula dallo schema legale delineato 14

dall’art. 1ctr; cod. civ. – resta ancora da accertare in giudizio.

14. Deve quindi essere cassata la sentenza impugnata e rimessa al giudice di rinvio la questione della verifica della sussistenza o meno della giusta causa di recesso ex art. 2119 cod. civ..

14.1. Si designa quale giudice di rinvio la Corte di appello di Brescia in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il nono motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2019

Il Consigliere est.

INDENNITA’ QUESTE SCONOSCIUTE………

Dopo svariati incontri, riunioni, convegni cioè che viene in risalto e anche ciò che gli agenti fanno trasparire dalle loro domande è la poca conoscenza, o assoluta indifferenza, dei diritti dopo la cessazione del rapporto.

Indennità suppletiva di clientela, indennità sostitutiva del preavviso, indennità d’incasso, indennità di non concorrenza post contrattuale, FIRR, indennità ex art. 1751 cc (che alcuni conoscono come meritocratica), quest’ultima molto avversata dalla mandanti, sono le indennità per cui ogni agente dovrebbe soffermarsi quando un rapporto di agenzia tende a “rompersi” o sia prossimo a “rompersi” (come mi è stato definito da un agente l’interruzione del rapporto).

Ebbene sì, è il caso che ogni agente valuti prima di chiudere un rapporto, o non appena avverta un comportamento ostile nei sui confronti, quali siano le indennità che potrebbero spettargli e quali passi seguire o non seguire per non perderle.

Un breve spunto di riflessione!!!!!!!!!

CORTE DI APPELLO DI MILANO 12-3-2020 n. 252 Divieto di concorrenza in corso di rapporto – Concorrenza illecita e sviamento di clientela

Nel contratto di agenzia il divieto di concorrenza è un c.d. «effetto naturale del contratto» pur in assenza di una norma specifica che lo preveda (come l’art. 2105 Cod. civ. per il lavoratore subordinato), potendosi desumere dal primo comma dell’articolo 1746 del codice civile , in base al quale l’agente deve tutelare gli interessi del preponente ed agire con lealtà e buona fede.A ciò si aggiunga che l’articolo 2598, n. 3, del codice civile qualifica un’attività come concorrenza sleale quando è contraria ai principi di correttezza professionale ed idonea a danneggiare l’altrui azienda, indipendentemente dall’effettivo verificarsi di un pregiudizio a carico del soggetto passivo.

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 febbraio 2020, n. 3483 – Per tutti gli affari conclusi durante il contratto l’agente ha diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento, salvo se diversamente pattuito

CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 giugno 2020, n. 12196

Enasarco – Contributi e sanzioni dovuti sulle provvigioni liquidate nei confronti di subagenti – Riconducibilità alla figura giuridica dell’agente di assicurazione – Distinzione dall’agente di commercio

Considerato in fatto

1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di rigetto dell’opposizione proposta dal Consorzio Agrario del Friuli Venezia Giulia soc coop. A r.l., agente assicurativo F., avverso il decreto con cui era ingiunto il pagamento a favore della Fondazione Enasarco di contributi e sanzioni dovuti sulle provvigioni liquidate nei confronti di taluni subagenti per gli anni dal 1998 al giugno 2003.

La Corte territoriale ha ritenuto che dalla normativa in materia emergeva la riconducibilità al paradigma generale di cui all’art. 1742 cc della figura giuridica dell’agente di assicurazione, salvo semplicemente la possibilità di deroga consentita dall’art. 1753 cc; che di conseguenza rientrava nella disciplina di cui all’art. 1742 e seg. c.c. anche il subagente di assicurazione e che essendo i subagenti di assicurazione espressamente esclusi dagli accordi collettivi che prevedono la previdenza integrativa per gli agenti di assicurazione, per essi non operava la deroga di cui all’art. 1753 cc e, quindi, era applicabile la disciplina generale di cui gli art. 1742 cc relativa agli agenti di commercio e la normativa collegata tra cui la tutela previdenziale integrativa Enasarco.

La Corte territoriale ha poi rilevato che, diversamente, non era richiamabile la direttiva europea del 9/12/2002 n 92° che prevedeva a carico dell’intermediario assicurativo particolari obblighi, non previsti dagli artt. 1742 e seg cc per gli altri agenti, in quanto la previsione di tali particolari obblighi era chiaramente finalizzata al concreto esercizio dell’attività avente delle peculiarità e necessitante di maggiori cautele, senza tuttavia introdurre categorie diverse di agenti con conseguenti riflessi sulla normativa previdenziale.

Ha poi affermato che in questo contesto a nulla rilevava l’art. 343, comma 6 d.lgs n. 209/2005 che aveva sancito come i subagenti di assicurazione fossero sottratti all’obbligo di iscrizione all’Enasarco, in quanto non avente efficacia retroattiva e non costituente norma interpretativa e, dunque, esplicante i suoi effetti solo dal 1/1/2006.

2. Avverso la sentenza ricorre il Consorzio con due motivi.

Resiste l’Enasarco.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Ritenuto in diritto

3. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2 L n 12/1973, del DM 2/5/1953 art. 1, del DM 24/9/98 art. 1, e dell’art. 1753 cc. Afferma che l’agente di assicurazione (art. 1753 cc ) va tenuto distinto dall’agente di commercio (artt 1742 e seg cc) e solo per questi ultimi è prevista l’assicurazione Enasarco; il subagente di assicurazione è assimilabile all’agente di assicurazione distinguendosi pertanto dall’agente di commercio; comprensibile è l’intervento del legislatore con il dlgs 209/2005 che esclude gli agenti di assicurazione ed in particolare i subagenti dagli obblighi previdenziali Enasarco.

Con il secondo denuncia, in caso di rigetto del primo motivo, violazione dell’art. 112 per non avere la Corte deciso sulla domanda di condanna dei subagenti al pagamento della loro quota.

4. Va accolto il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo.

5. In sostanza secondo la Corte d’appello i subagenti e gli agenti assicurativi sono assimilabili agli agenti di commercio, disciplinati dagli artt. 1742 cc e seg., e soggetti anche alla disciplina previdenziale degli agenti di commercio avendo riguardo all’attività svolta, salvo la possibilità di deroghe in base alle norme corporative o agli usi.

La Corte territoriale ha rilevato che il contratto di agenzia assicurativa ha ad oggetto la stabile promozione e conclusione di contratti per conto di una impresa assicuratrice per cui non vi è dubbio che rientri nella disciplina dell’art. 1742 cc, come confermato dalla collocazione dell’art. 1743 cc e dal richiamo contenuto nell’art. 1753 cc alla disciplina del rapporto di agenzia, salvo deroghe previste da norme corporative e dagli usi.

L’iscrizione all’Enasarco è conseguente allo svolgimento dell’attività riconducibile a quella dell’agente di commercio, espressione che non ricorre nel codice civile, e non già all’iscrizione nel ruolo degli agenti di commercio e nella disciplina di cui all’art. 1742 cc rientra anche il subagente di assicurazione. Essendo, tuttavia, i subagenti di assicurazione espressamente esclusi dagli accordi collettivi, che prevedono la previdenza integrativa per gli agenti di assicurazione, per essi non opera la deroga di cui all’art. 1753 cc e quindi è applicabile la disciplina generale di cui gli art. 1742 cc e la normativa collegata tra cui la tutela previdenziale integrativa Enasarco.

6. La tesi accolta dalla Corte territoriale non risulta fondata e, va qui ribadito, va data continuità ai principi affermati da questa Corte a partire dalla sentenza n. 4296/2016 secondo cui, “in tema di contributi a favore degli enti previdenziali privatizzati ( tra cui l’Enasarco), cui va attribuita la natura di prestazioni patrimoniali obbligatorie, opera la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., sicché, in assenza di una disposizione legislativa che lo preveda, va escluso che i sub-agenti assicurativi siano soggetti all’obbligo di iscrizione all’Enasarco; né tale obbligo può conseguire ad una equiparazione ai sub-agenti di commercio, da cui si distinguono per il settore produttivo di appartenenza che li rende, piuttosto, assimilabili agli agenti assicurativi, la cui disciplina, ai sensi dell’art. 1753 c.c., è contenuta negli usi e negli accordi collettivi di settore e solo in mancanza nelle norme del codice civile in materia di agenti di commercio“.

7. Nella citata sentenza si è affermato che ” da sempre per le due indicate categorie di agenti – di commercio e assicurativi – sono dettate discipline profondamente diverse (e questo trova conferma anche negli artt. 1753 e 1905 cod. civ.); da sempre dalla giurisprudenza di questa Corte si desume che la natura di contratto derivato o subcontratto di subagenzia comporta che, in linea generale, i subagenti siano assoggettati alla stessa disciplina degli agenti, in quanto compatibile. E ciò è confermato anche dall’art. 109 del Codice delle Assicurazioni, secondo cui anche i subagenti assicurativi non possono svolgere la loro attività se non sono iscritti nel RUI, sia pure nella sezione E del registro e non in quella propria degli agenti. Ne deriva che, se per gli agenti è il rispettivo settore produttivo di appartenenza – nella specie: commercio o assicurazione – l’elemento determinante per l’individuazione della disciplina da applicare, lo stesso vale anche per i subagenti, visto che pure l’attività da questi concretamente esercitata è caratterizzata da tale appartenenza. Invero, è del tutto evidente che l’attività di un subagente assicurativo, nella sostanza, è – a parte la figura del preponente – uguale a quella dell’agente assicurativo e molto diversa, invece, da quella del subagente o dell’agente di commercio.

8. Si è ricordato, inoltre, nella citata sentenza ,che “ i subagenti assicurativi da molto tempo sono inclusi obbligatoriamente nel sistema INPS per la pensione IVS (gestione commercianti) – al pari tutti gli altri agenti e subagenti, sulla sola base dello svolgimento di una attività di agenzia (in senso ampio) svolta in modo abituale e prevalente e senza alcun rilievo alla distinzione dei ruoli (rispettivamente di agente o subagente) – e sono, quindi, dotati di una tutela previdenziale ai sensi dell’art. 38 Cost. Pertanto, il fatto che la categoria professionale di appartenenza non consenta loro di iscriversi al Fondo di categoria certamente non contrasta con il suddetto parametro costituzionale e comunque non ha alcun rilievo nella presente controversia, perché certamente non autorizza l’ENASARCO a chiederne la contribuzione, in mancanza di un fondamento legislativo adeguato ai sensi dell’art. 23 Cost.

9. Nella descritta situazione appare evidente che all’art. 343, comma 6, del Codice delle Assicurazioni non possa che essere attribuito carattere meramente “ricognitivo”, tenendo conto – come prescrive l’art. 12 delle Preleggi – dell’intenzione del legislatore alla stregua dei criteri di interpretazione logicosistematica e teleologica, che trae conferma anche dall’interpretazione genetica della norma stessa, quale si desume dal luogo in cui è inserita sia nell’ambito complessivo del suddetto Codice sia nell’ambito dello stesso art. 343.

10. Infine “Da ultimo, va specificato che la affermata infondatezza della tesi della Fondazione – considerata nel suo insieme e in ogni suo passaggio argomentativo – rende del tutto irrilevanti i prospettati dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 343, comma 6, in oggetto, per asserito contrasto con gli artt. 76, 3 e 38 Cost. Comunque, da quanto fin qui si è detto, emerge con chiarezza che ognuno dei suddetti profili di incostituzionalità è palesemente destituito di fondamento. Infatti: a) il prospettato contrasto con l’art. 3 Cost. è del tutto da escludere ove si consideri che le categorie di persone la cui disciplina della previdenza integrativa viene posta a confronto – cioè i subagenti assicurativi rispetto sia agli agenti assicurativi sia agli agenti degli altri settori – sono categorie non paragonabili, ai fini che qui interessano; b) la presunta violazione dell’art. 38, secondo comma, Cost. – derivante dal fatto che la norma priverebbe i subagenti assicurativi di una tutela previdenziale integrativa prima esistente – a parte ogni altra considerazione sull’esistenza della copertura assicurativa INPS e sulla natura meramente integrativa della previdenza ENASARCO, è basata su un presupposto erroneo che è quello di attribuire all’art. 343, comma 6, valore innovativo; c) sullo stesso presupposto sbagliato è fondata anche la prospettata violazione dell’art. 76 Cost. che, quindi, non è del pari neppure ipotizzabile”.

11. Per le considerazioni che precedono il primo motivo del ricorso deve essere accolto , e cassata la sentenza impugnata, può decidersi nel merito revocando il decreto ingiuntivo opposto e rigettando la domanda della Fondazione Enasarco. Il secondo motivo resta assorbito. Le spese dell’intero processo, stante la complessità della questione tratta e raffermarsi della giurisprudenza di questa Corte solo in epoca successiva alla presentazione del ricorso, vanno compensate.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo , assorbito il secondo , cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito revoca il decreto ingiuntivo opposto e rigetta la domanda della Fondazione Enasarco.

CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 giugno 2020, n. 12196 – Contributi a favore degli enti previdenziali privatizzati, compreso l’Enasarco, cui va attribuita la natura di prestazioni patrimoniali obbligatorie, opera la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., cosicché, in assenza di una disposizione legislativa che lo preveda, va escluso che i sub-agenti assicurativi siano soggetti all’obbligo di iscrizione all’Enasarco.

CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 giugno 2020, n. 12196

Enasarco – Contributi e sanzioni dovuti sulle provvigioni liquidate nei confronti di subagenti – Riconducibilità alla figura giuridica dell’agente di assicurazione – Distinzione dall’agente di commercio

Considerato in fatto

1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di rigetto dell’opposizione proposta dal Consorzio Agrario del Friuli Venezia Giulia soc coop. A r.l., agente assicurativo F., avverso il decreto con cui era ingiunto il pagamento a favore della Fondazione Enasarco di contributi e sanzioni dovuti sulle provvigioni liquidate nei confronti di taluni subagenti per gli anni dal 1998 al giugno 2003.

La Corte territoriale ha ritenuto che dalla normativa in materia emergeva la riconducibilità al paradigma generale di cui all’art. 1742 cc della figura giuridica dell’agente di assicurazione, salvo semplicemente la possibilità di deroga consentita dall’art. 1753 cc; che di conseguenza rientrava nella disciplina di cui all’art. 1742 e seg. c.c. anche il subagente di assicurazione e che essendo i subagenti di assicurazione espressamente esclusi dagli accordi collettivi che prevedono la previdenza integrativa per gli agenti di assicurazione, per essi non operava la deroga di cui all’art. 1753 cc e, quindi, era applicabile la disciplina generale di cui gli art. 1742 cc relativa agli agenti di commercio e la normativa collegata tra cui la tutela previdenziale integrativa Enasarco.

La Corte territoriale ha poi rilevato che, diversamente, non era richiamabile la direttiva europea del 9/12/2002 n 92° che prevedeva a carico dell’intermediario assicurativo particolari obblighi, non previsti dagli artt. 1742 e seg cc per gli altri agenti, in quanto la previsione di tali particolari obblighi era chiaramente finalizzata al concreto esercizio dell’attività avente delle peculiarità e necessitante di maggiori cautele, senza tuttavia introdurre categorie diverse di agenti con conseguenti riflessi sulla normativa previdenziale.

Ha poi affermato che in questo contesto a nulla rilevava l’art. 343, comma 6 d.lgs n. 209/2005 che aveva sancito come i subagenti di assicurazione fossero sottratti all’obbligo di iscrizione all’Enasarco, in quanto non avente efficacia retroattiva e non costituente norma interpretativa e, dunque, esplicante i suoi effetti solo dal 1/1/2006.

2. Avverso la sentenza ricorre il Consorzio con due motivi.

Resiste l’Enasarco.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Ritenuto in diritto

3. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2 L n 12/1973, del DM 2/5/1953 art. 1, del DM 24/9/98 art. 1, e dell’art. 1753 cc. Afferma che l’agente di assicurazione (art. 1753 cc ) va tenuto distinto dall’agente di commercio (artt 1742 e seg cc) e solo per questi ultimi è prevista l’assicurazione Enasarco; il subagente di assicurazione è assimilabile all’agente di assicurazione distinguendosi pertanto dall’agente di commercio; comprensibile è l’intervento del legislatore con il dlgs 209/2005 che esclude gli agenti di assicurazione ed in particolare i subagenti dagli obblighi previdenziali Enasarco.

Con il secondo denuncia, in caso di rigetto del primo motivo, violazione dell’art. 112 per non avere la Corte deciso sulla domanda di condanna dei subagenti al pagamento della loro quota.

4. Va accolto il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo.

5. In sostanza secondo la Corte d’appello i subagenti e gli agenti assicurativi sono assimilabili agli agenti di commercio, disciplinati dagli artt. 1742 cc e seg., e soggetti anche alla disciplina previdenziale degli agenti di commercio avendo riguardo all’attività svolta, salvo la possibilità di deroghe in base alle norme corporative o agli usi.

La Corte territoriale ha rilevato che il contratto di agenzia assicurativa ha ad oggetto la stabile promozione e conclusione di contratti per conto di una impresa assicuratrice per cui non vi è dubbio che rientri nella disciplina dell’art. 1742 cc, come confermato dalla collocazione dell’art. 1743 cc e dal richiamo contenuto nell’art. 1753 cc alla disciplina del rapporto di agenzia, salvo deroghe previste da norme corporative e dagli usi.

L’iscrizione all’Enasarco è conseguente allo svolgimento dell’attività riconducibile a quella dell’agente di commercio, espressione che non ricorre nel codice civile, e non già all’iscrizione nel ruolo degli agenti di commercio e nella disciplina di cui all’art. 1742 cc rientra anche il subagente di assicurazione. Essendo, tuttavia, i subagenti di assicurazione espressamente esclusi dagli accordi collettivi, che prevedono la previdenza integrativa per gli agenti di assicurazione, per essi non opera la deroga di cui all’art. 1753 cc e quindi è applicabile la disciplina generale di cui gli art. 1742 cc e la normativa collegata tra cui la tutela previdenziale integrativa Enasarco.

6. La tesi accolta dalla Corte territoriale non risulta fondata e, va qui ribadito, va data continuità ai principi affermati da questa Corte a partire dalla sentenza n. 4296/2016 secondo cui, “in tema di contributi a favore degli enti previdenziali privatizzati ( tra cui l’Enasarco), cui va attribuita la natura di prestazioni patrimoniali obbligatorie, opera la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., sicché, in assenza di una disposizione legislativa che lo preveda, va escluso che i sub-agenti assicurativi siano soggetti all’obbligo di iscrizione all’Enasarco; né tale obbligo può conseguire ad una equiparazione ai sub-agenti di commercio, da cui si distinguono per il settore produttivo di appartenenza che li rende, piuttosto, assimilabili agli agenti assicurativi, la cui disciplina, ai sensi dell’art. 1753 c.c., è contenuta negli usi e negli accordi collettivi di settore e solo in mancanza nelle norme del codice civile in materia di agenti di commercio“.

7. Nella citata sentenza si è affermato che ” da sempre per le due indicate categorie di agenti – di commercio e assicurativi – sono dettate discipline profondamente diverse (e questo trova conferma anche negli artt. 1753 e 1905 cod. civ.); da sempre dalla giurisprudenza di questa Corte si desume che la natura di contratto derivato o subcontratto di subagenzia comporta che, in linea generale, i subagenti siano assoggettati alla stessa disciplina degli agenti, in quanto compatibile. E ciò è confermato anche dall’art. 109 del Codice delle Assicurazioni, secondo cui anche i subagenti assicurativi non possono svolgere la loro attività se non sono iscritti nel RUI, sia pure nella sezione E del registro e non in quella propria degli agenti. Ne deriva che, se per gli agenti è il rispettivo settore produttivo di appartenenza – nella specie: commercio o assicurazione – l’elemento determinante per l’individuazione della disciplina da applicare, lo stesso vale anche per i subagenti, visto che pure l’attività da questi concretamente esercitata è caratterizzata da tale appartenenza. Invero, è del tutto evidente che l’attività di un subagente assicurativo, nella sostanza, è – a parte la figura del preponente – uguale a quella dell’agente assicurativo e molto diversa, invece, da quella del subagente o dell’agente di commercio.

8. Si è ricordato, inoltre, nella citata sentenza ,che “ i subagenti assicurativi da molto tempo sono inclusi obbligatoriamente nel sistema INPS per la pensione IVS (gestione commercianti) – al pari tutti gli altri agenti e subagenti, sulla sola base dello svolgimento di una attività di agenzia (in senso ampio) svolta in modo abituale e prevalente e senza alcun rilievo alla distinzione dei ruoli (rispettivamente di agente o subagente) – e sono, quindi, dotati di una tutela previdenziale ai sensi dell’art. 38 Cost. Pertanto, il fatto che la categoria professionale di appartenenza non consenta loro di iscriversi al Fondo di categoria certamente non contrasta con il suddetto parametro costituzionale e comunque non ha alcun rilievo nella presente controversia, perché certamente non autorizza l’ENASARCO a chiederne la contribuzione, in mancanza di un fondamento legislativo adeguato ai sensi dell’art. 23 Cost.

9. Nella descritta situazione appare evidente che all’art. 343, comma 6, del Codice delle Assicurazioni non possa che essere attribuito carattere meramente “ricognitivo”, tenendo conto – come prescrive l’art. 12 delle Preleggi – dell’intenzione del legislatore alla stregua dei criteri di interpretazione logicosistematica e teleologica, che trae conferma anche dall’interpretazione genetica della norma stessa, quale si desume dal luogo in cui è inserita sia nell’ambito complessivo del suddetto Codice sia nell’ambito dello stesso art. 343.

10. Infine “Da ultimo, va specificato che la affermata infondatezza della tesi della Fondazione – considerata nel suo insieme e in ogni suo passaggio argomentativo – rende del tutto irrilevanti i prospettati dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 343, comma 6, in oggetto, per asserito contrasto con gli artt. 76, 3 e 38 Cost. Comunque, da quanto fin qui si è detto, emerge con chiarezza che ognuno dei suddetti profili di incostituzionalità è palesemente destituito di fondamento. Infatti: a) il prospettato contrasto con l’art. 3 Cost. è del tutto da escludere ove si consideri che le categorie di persone la cui disciplina della previdenza integrativa viene posta a confronto – cioè i subagenti assicurativi rispetto sia agli agenti assicurativi sia agli agenti degli altri settori – sono categorie non paragonabili, ai fini che qui interessano; b) la presunta violazione dell’art. 38, secondo comma, Cost. – derivante dal fatto che la norma priverebbe i subagenti assicurativi di una tutela previdenziale integrativa prima esistente – a parte ogni altra considerazione sull’esistenza della copertura assicurativa INPS e sulla natura meramente integrativa della previdenza ENASARCO, è basata su un presupposto erroneo che è quello di attribuire all’art. 343, comma 6, valore innovativo; c) sullo stesso presupposto sbagliato è fondata anche la prospettata violazione dell’art. 76 Cost. che, quindi, non è del pari neppure ipotizzabile”.

11. Per le considerazioni che precedono il primo motivo del ricorso deve essere accolto , e cassata la sentenza impugnata, può decidersi nel merito revocando il decreto ingiuntivo opposto e rigettando la domanda della Fondazione Enasarco. Il secondo motivo resta assorbito. Le spese dell’intero processo, stante la complessità della questione tratta e raffermarsi della giurisprudenza di questa Corte solo in epoca successiva alla presentazione del ricorso, vanno compensate.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo , assorbito il secondo , cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito revoca il decreto ingiuntivo opposto e rigetta la domanda della Fondazione Enasarco.

ACCORDO SULL’ANTICIPAZIONE DEL 30% DEL FIRR

Sottoscritto l’accordo che prevede che gli Agenti di commercio e consulenti finanziari possano chiedere all’Enasarco una anticipazione FIRR, fino al massimo del 30% dell’accantonato, che corrisponde ad una somma complessiva di 450 milioni di euro.

Il FIRR, accantonato dall’azienda mandante e gestito da Enasarco, è stato istituito dalle parti sociali attraverso gli Accordi economici collettivi. L’emergenza Covid-19 ha influito – ed influisce – pesantemente sull’attività degli agenti e rappresentanti di commercio. Per questo le rappresentanze di categoria hanno concordato di rendere disponibile il 30% del Fondo Indennità Risoluzione Rapporto (Firr), quale strumento di sostegno alla categoria ed iniezione di liquidità. . 

In ogni caso l’accordo prevede che gli agenti possano esercitare il diritto all’anticipazione entro la data del 31 marzo 2021.

 

CONTRIBUTO A FONDO PERDUTO PER AGENTI DI COMMERCIO. COME POSSO FARE DOMANDA? QUALI DOCUMENTI SERVONO?​

La montagna ha partorito il topolino!

L’Agenzia delle Entrate ha finalmente pubblicato pubblicato le istruzioni per la presentazione della domanda per richiedere il contributo a fondo perduto di cui a al Decreto Rilancio.

Il contributo a fondo perduto è una somma di denaro corrisposta dall’Agenzia delle entrate a seguito della presentazione, in via telematica, di una apposita istanza.

L’importo del contributo è commisurato alla perdita del fatturato e dei corrispettivi subita a causa dell’emergenza da Coronavirus.

Sulla base dei dati dichiarati nell’istanza dal soggetto che richiede il contributo, l’Agenzia delle entrate eroga la somma di denaro mediante bonifico sul conto corrente intestato al richiedente.

ATTENZIONE

Il contributo a fondo perduto è escluso da tassazione – sia per quanto riguarda le imposte sui redditi sia per l’Irap – e non incide sul calcolo del rapporto per la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito, compresi gli interessi passivi, di cui agli artt. 61 e 109, comma 5, del Tuir.

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Modello istanza

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