Corte di Cassazione sentenza n. 22389 del 10 dicembre 2012
L’articolo 1751, quarto comma, C.C., secondo cui la concessione all’agente dell’indennità di cessazione del rapporto non lo priva comunque del “diritto all’eventuale risarcimento dei danni”, si riferisce a danni ulteriori da fatto illecito contrattuale o extracontrattuale (come, ad esempio, l’illecito connesso alla violazione dei doveri informativi, al mancato pagamento di provvigioni maturate, violazione dell’esclusiva, a fatti di denigrazione professionale, alla ingiuriosità del recesso del preponente, alla induzione dell’agente ad oneri e spese di esecuzione del contratto prima della sua inopinata risoluzione, ecc.), giacché detta disposizione configura una ipotesi di risarcimento distinto rispetto a quello da fatto lecito (cessazione del rapporto) contemplato dal primo comma dello stesso articolo 1751, quarto comma, C.C.., con il quale può pertanto cumularsi, sempre che nella condotta del preponente sussistano i requisiti soggettivi ed oggettivi di detto illecito.
Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Caltanissetta, decidendo sui ricorsi in riassunzione ex art. 392 c.p.c. proposti sia da G.B. che dalla A. s.p.a. (già R. s.p.a.) a seguito della cassazione della sentenza della Corte di Appello di Catania – che aveva ritenuto parzialmente fondata la domanda risarcitoria proposta da B.G. e condannato la allora RAS s.p.a. al pagamento della somma di € 50.000,00 a titolo di danno conseguente alla cancellazione dall’Albo (€ 10.000,00) e per danno alla vita di relazione (€ 40.000,00) – ha accolto il ricorso incidentale della società e in riforma della sentenza del Tribunale di Siracusa ha ritenuto infondate le pretese risarcitone azionate e condannato il B. a restituire le somme ricevute in forza della decisione della Corte d’Appello di Catania annullata con gli interessi legali dalla data in cui le somme erano state erogate.
La Corte d’Appello ha ricordato che la sentenza era stata cassata dalla Suprema Corte in quanto l’agente, il cui rapporto sia stato risolto senza giusta causa, ha diritto a percepire oltre all’indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 ce. anche il risarcimento del danno, contrattuale o extra-contrattuale, determinato dalla violazione di doveri informativi, dalla ingiuriosità del recesso, dalla assunzione di spese o oneri connessi al rapporto poi risolto, a condizione che sussistano i requisiti soggettivi ed oggettivi dell’illecito (art. 1751 comma 4 c.c.).
Con riguardo a tale aspetto la Cassazione ha evidenziato le seguenti carenze della sentenza impugnata:
1.- omessa valutazione del disposto degli artt. 7, 14 e 19 della legge 7.2.1979 che impone alle Compagnie di Assicurazione di dare notizia all’organo deputato ad intraprendere l’azione disciplinare dei recessi intimati per consentire la valutazione autonoma della rilevanza disciplinare dei fatti che hanno determinato il recesso.
2.- omessa precisazione delle modalità (lesive o meno) con le quali la società d’assicurazione aveva comunicato il recesso e delle altre condotte, eventualmente offensive, poste in essere in occasione della comunicazione.
3.- mancata precisazione dei tempi con i quali la denuncia e la seguente cancellazione avevano avuto luogo e dai quali sarebbe stato possibile evincere la illiceità o meno della condotta e la connessione causale con i danni lamentati.
Tanto premesso la Corte d’Appello di Caltanissetta nella sentenza oggi oggetto di esame ha precisato che il suo giudizio era necessariamente limitato alla tempistica ed alle modalità con le quali la RAS s.p.a. ha assolto all’obbligo di comunicare la cessazione del rapporto di agenzia oltre che i motivi di tale cessazione. La Corte ha invece ritenuto estranee al suo esame, perché precluse dal dictum della sentenza di cassazione (il cui principio di diritto il giudice del rinvio deve applicare) le considerazioni svolte dal B. tendenti ad escludere la necessità di accertare l’esistenza di un fatto illecito ulteriore rispetto al recesso stesso, accertamento necessario solo in caso di recesso ad nutum, e non anche in quello di recesso privo di giusta causa.
Quindi ha verificato che le comunicazioni obbligatorie ex art. 7 comma 2 della legge n. 49/1979 (al Ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato ed alla Camera di Commercio di Siracusa) erano contenute in modelli prestampati nei quali ci si era limitati a contrassegnare la casella corrispondente al recesso per giusta causa senza null’altro aggiungere, di tal che la stessa, per la sua asetticità, era priva di qualsivoglia idoneità lesiva.
Inoltre ha verificato che tutte le comunicazioni riconducibili alla RAS s.p.a. erano immediatamente successive al licenziamento e comunque di gran lunga antecedenti alla sentenza del Pretore di Lentini, passata in giudicato, che aveva accertato l’insussistenza della giusta causa.
Ha concluso pertanto per l’insussistenza di qualsivoglia comportamento illecito da parte della RAS s.p.a. e dunque per l’inesistenza di un diritto al risarcimento dei danni diverso ed ulteriore rispetto a quello per legge liquidato con il riconoscimento dell’indennità di mancato preavviso, ordinando nel contempo la restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza annullata, maggiorate degli interessi legali dalla data dell’intervenuto pagamento.
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta propone ricorso per cassazione il B. affidandolo a tre motivi.
Resiste con controricorso la A. s.p.a. che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso viene censurata la sentenza per avere, in violazione dell’art. 1751 c.c. e dell’art. 392 c.p.c., ingiustificatamente limitato il thema decidendum alla sussistenza dello specifico illecito di ingiusta e maliziosa denunzia disciplinare all’ISVAP mentre tale limitazione non era contenuta nell’ampio principio di diritto affidato al giudice del rinvio.
La censura è infondata.
La sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta si è esattamente attenuta al principio di diritto enunciato dalla Cassazione (n. 9426/2008) che, nel rinviare la controversia alla Corte di merito per lo svolgimento di necessari e ulteriori accertamenti ha chiarito che: “L’art. 1751 ce, comma 4, secondo cui la concessione all’agente dell’indennità di cessazione dal rapporto non priva comunque l’agente medesimo del “diritto all’eventuale risarcimento dei danni”, si riferisce a danni ulteriori da fatto illecito, contrattuale o extracontrattuale, connesso ad esempio, alla violazione dei doveri informativi, al mancato pagamento di provvigioni maturate, a fatti di denigrazione professionale, alla ingiuriosità del recesso del proponente, alla induzione dell’agente prima della risoluzione del rapporto ad oneri e spese di esecuzione del contratto voi inopinatamente risolto. La suddetta disposizione configura, infatti, una ipotesi di risarcimento al di fuori di quello da fatto lecito (cessazione del rapporto), considerato nel comma 2, dello stesso art. 1751 c.c., consentendone la cumulabilità con un diverso ed ulteriore danno da illecito (contrattuale o extra-contrattuale) sempre che sussistano nella condotta del preponente i requisiti soggettivi ed oggettivi di detto illecito”.
Era pertanto espressamente demandato al giudice del rinvio di verificare l’esistenza di comportamenti ulteriori rispetto alla risoluzione del rapporto per giusta causa, che fossero riconducibili alla società preponente e potessero essere in concreto lesivi per l’agente. Ciò, in particolare, con riguardo al procedimento disciplinare al quale l’agente era stato assoggettato.
Contrariamente a quanto ancora oggi sostenuto dal B., quindi, l’illegittima intimazione del recesso non doveva essere oggetto dell’esame da parte della Corte di merito avendo la Cassazione remittente ben chiarito che la risoluzione del rapporto di agenzia, di cui sia stata accertata l’illegittimità, è di per sé compensata dall’indennità prevista dall’art. 1751 comma 2 c.c., laddove, invece, ai fini della liquidazione del danno chiesto dal B. (patrimoniale, non patrimoniale e biologico) era necessario accertare condotte ulteriori e diverse dalla mera intimazione di una risoluzione del rapporto, pur illegittima.
Con il secondo motivo, poi, ci si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 48 del 1979 in relazione all’art. 1375 c.c., con riguardo alla esecuzione in buona fede del contratto, e dell’art. 1218 c.c. per quanto concerne il danno da inadempimento. In particolare si censura la sentenza per non aver ravvisato nell’inerzia mantenuta successivamente al passaggio in giudicato della sentenza che aveva escluso l’esistenza di una giusta causa di risoluzione del contratto, e si sostiene che il giudice, per verificare l’esistenza degli estremi di una responsabilità, avrebbe dovuto valutare anche l’accertata pretestuosità del recesso e non limitare la sua indagine al mero criterio cronologico della denunzia all’ISVAP.
Con il terzo motivo, infine, viene denunciata l’insufficienza della motivazione con riferimento alla mancata valutazione del comportamento della RAS che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza del Pretore di Lentini, e successivamente all’inizio del procedimento disciplinare avrebbe omesso di comunicare all’Isvap la mutata situazione di fatto (annullamento del licenziamento per giusta causa) sebbene l’Istituto avesse dato notizia alla società dell’avvio del procedimento disciplinare chiedendo di inviare copia di ogni altro elemento utile.
Tale condotta, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto essere valutata dal giudice d’appello al fine di ritenere sussistente la condotta dolosamente lesiva degli interessi dell’agente.
Le due censure, che per la loro connessione possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.
Occorre premettere che la legge 7 febbraio 1979, n. 48 (istitutiva dell’albo nazionale degli agenti di assicurazione e, ratione temporis, applicabile al caso in esame), in relazione al quale si lamenta un comportamento in malafede da parte della società preponente, all’art. 7 contiene l’indicazione di tutte le comunicazioni che le compagnie di assicurazione erano tenute a fare al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato e alla camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura competente per territorio in ogni caso di: 1. – conferimento di incarico di agente di assicurazione (comunicando le generalità dell’incaricato e indicando la data di conferimento dell’incarico, la sede dell’agenzia, nonché le condizioni di esercizio). 2.- Variazione della sede dell’agenzia, 3.- modifiche delle condizioni di esercizio o di cessazione dall’incarico dell’agente.
In tale ultimo caso, poi, la norma prevede che l’impresa doveva comunicare quale, fra le cause previste dalla legge o dagli accordi collettivi di categoria, aveva determinato lo scioglimento stesso.
Si tratta all’evidenza di un obbligo di legge al quale la società non poteva né doveva sottrarsi. È il tenore testuale della norma che convince della obbligatorietà e portata di tale dovere di comunicazione. L’art. 7 citato, infatti, dispone che “In ogni caso di scioglimento del contratto di agenzia l’impresa é tenuta a comunicare quale, fra le cause previste dalla legge o dagli accordi collettivi di categoria, ha determinato lo scioglimento stesso”.
Del tutto correttamente quindi la società oggi resistente, nell’immediatezza dell’intimazione della risoluzione del rapporto per giusta causa ne ha dato comunicazione alle autorità competenti specificando anche la causa della risoluzione stessa.
Questi dunque gli obblighi di comunicazione a cui, nella vigenza della l. n. 48 del 1979, era assoggettato l’imprenditore assicurativo.
A norma del successivo art. 19 della stessa legge, poi, il procedimento disciplinare è promosso dalla commissione per l’albo degli agenti d’assicurazione costituita presso il Ministero dell’Industria (ex art. 13 L. n. 48 del 1979), anche su segnalazione motivata delle commissioni di cui all’articolo 14 ed istituite presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
Il procedimento, disciplinato dall’art. 19 della legge citata, prevede che il presidente della commissione disponga i necessari accertamenti e, verificati sommariamente i fatti, ordini la comunicazione all’interessato dell’apertura del procedimento disciplinare.
Tale comunicazione, che deve essere fatta con raccomandata a/r, deve contenere l’avviso di deposito degli atti per consentirne la, visione e l’estrazione di copia all’interessato oltre che l’invito rivolto allo stesso di far pervenire alla commissione, almeno venti giorni prima della data fissata per la seduta per la trattazione orale, eventuali scritti o memorie difensive e documenti probatori.
Inoltre l’interessato ha facoltà di intervenire alla seduta per svolgere oralmente la propria difesa.
Dall’esame della disciplina dunque appare evidente che nessun dovere di comunicazione grava sulla società preponente che può solo, e su sua richiesta, essere sentita dalla commissione, prima che questa adotti la sua decisione.
È per tale fine che “il presidente della commissione deve dare comunicazione all’impresa, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, dell’apertura del procedimento e della data fissata per la trattazione orale.”
Questa l’articolata procedura disciplinare regolata dalla l. n. 48 del 1979 che non risulta in alcun modo violata dalla società oggi resistente. Questa, adempiuto nell’immediatezza del licenziamento all’obbligo di comunicazione che su di lei incombeva, non ha ritenuto, nel proseguo, così come le era consentito, di partecipare al procedimento.
Come adeguatamente sottolineato dalla Corte d’Appello, si tratta di un comportamento neutro che in nulla lede l’agente sottoposto al procedimento il quale è direttamente coinvolto nello svolgimento dello stesso ed è autorizzato a depositare scritti, memorie difensive e documenti probatori, quali ad esempio la sentenza più volte richiamata del Pretore di Lentini che, al momento dell’avvio del procedimento disciplinare, era già passata in giudicato.
A ciò si aggiunga che la Corte, con accertamento di merito in questa sede non censurato né censurabile, ha verificato che la comunicazione effettuata dalla società, era contenuta in un modello prestampato e non aveva alcun carattere ingiurioso o diffamatorio. La società si era infatti limitata a barrare la casella del modulo recante la dizione di recesso per giusta causa.
Poiché, come ricordato dalla sentenza rescindente, per aversi danno ulteriore risarcibile distinto rispetto a quello da fatto lecito (cessazione del rapporto) contemplato dal primo comma dello stesso art. 1751 cod. civ., con il quale può pertanto cumularsi, è necessario che sia allegata e dimostrata l’esistenza di un fatto illecito contrattuale o extracontrattuale (violazione dei doveri informativi, mancato pagamento di provvigioni maturate, denigrazione professionale, ingiuriosità del recesso del preponente, induzione dell’agente ad oneri e spese di esecuzione del contratto prima della sua inopinata risoluzione, ecc.) e la Corte di merito con motivazione logica ed esente da vizi ha verificato che nessun comportamento di tal fatta era stato posto in essere dalla società assicuratrice, il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato.
La complessità della vicenda esaminata giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE
Respinge il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.