LA CONTROVERSA FIGURA DEI PROCACCIATORI D’AFFARI – Corte d’appello di Roma (Sezione Lavoro, Sentenza 23 ottobre 2018, n. 3557)

Il procacciatore d’affari———chi è costui?

L’Enasarco con propria nota definisce il procacciatore come “tutti coloro che svolgono un’attività che, seppur finalizzata alla promozione-conclusione di contratti, è attuata senza i necessari requisiti di stabilità e continuità del rapporto con la Ditta e senza assunzione in proprio del rischio economico“, ma “nel caso in cui il Vostro collaboratore svolga un’attività i cui requisiti sono riconducibili a quelli dell’Agente di Commercio (in particolar modo facendo riferimento alla stabilità dell’incarico) egli può essere considerato a tutti gli effetti un Agente. Infatti la figura del Procacciatore di Affari presume l’assoluta occasionalità della prestazione finalizzata alla promozione di affari. Pertanto anche un ridotto volume di affari, ma ripetuto nel tempo, potrebbe essere valutato in sede di accertamento come la prova dell’esistenza di fatto di un mandato di agenzia“.

E’ opportuno, quindi, per cautelarsi da possibili accertamenti, nel rispetto delle norme, adottare le dovute cautele.

E’ bene riferire però che questi incarichi sono senza alcuna tutela; le imprese, per contro, dovranno tener conto delle possibili implicazioni economiche nei confronti dell’Enasarco in caso di continuità di rapporto.

Ci sono imprese che sistematicamente, per evitare il costo dell’Enasarco, strutturano la loro rete mediante una moltitudine di procacciatori. Ma non sempre ciò è una saggia decisione.

SI RIPORTA UNA INTERESSANTE SENTENZA DELLA CORTE DI APPELLO DI ROMA

1. Oggetto della controversia

In data 25 ottobre 2010, una società subiva l’accertamento ispettivo da parte della Fondazione Enasarco, la quale contestava un’omissione contributiva di euro 41.847,83 per mancati versamenti, per un periodo di cinque anni, sulla retribuzione pagata a tre intermediari di vendita che Enasarco riteneva essere agenti di commercio, benché qualificati dalla mandante come procacciatori d’affari.

In primo grado il Tribunale affermava che la continuità nella trasmissione degli ordini e l’ammontare delle provvigioni non sono, di per sé, indici sufficienti a individuare un contratto di agenzia. Enasarco ricorreva in appello.

 2. Il giudizio in appello

La pronuncia della Corte d’appello di Roma (Sezione Lavoro, Sentenza 23 ottobre 2018, n. 3557) è antitetica rispetto alla sentenza di primo grado: la continuità nella trasmissione degli ordini, l’ammontare delle provvigioni, la durata pluriennale dei rapporti nonché, nel caso di specie, i dati emergenti dal verbale ispettivo dell’Enasarco sono infatti ritenuti sintomatici dell’esistenza di un contratto di agenzia di commercio.

In generale, la Corte rilevava che al rapporto di procacciamento d’affari sono applicabili in via analogica solo le disposizioni relative al contratto di agenzia che sono svincolate dal carattere stabile del rapporto (ad esempio, quelle in materia di provvigioni), ma non le disposizioni – di legge o contrattuali – che invece lo presuppongono. In definitiva, mentre la prestazione dell’agente è per natura stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere con continuità l’attività di promozione delle vendite nell’interesse della preponente, la prestazione del procacciatore d’affari è e deve essere del tutto occasionaledipendendo esclusivamente dall’iniziativa dell’intermediario (sul punto, Cassazione civile 8.2.99 n. 1078, Cassazione civile 9.12.2003 n. 18736, Cassazione civile 24.6.2005 n. 13629, Cassazione civile 23.7.2012 n. 12776).

Nella fattispecie oggetto del giudizio, gli intermediari avevano ricevuto dalla società mandante una lettera di incarico per procacciatore di affari, sottoscritta per accettazione.

Tuttavia, come la Corte precisa, “la formale stipula tra le parti di un contratto qualificato come procacciamento od altro tipo non è decisiva, poiché pertiene al Giudice la qualificazione giuridica della fattispecie, alla stregua delle modalità concrete di attuazione del rapporto, la cui esecuzione si protragga nel tempo (cfr. ex plurimis Cassazione, 30.8.2007, n. 18303; Cassazione 23.7.2012, n. 12776)”.

3. La clausola incriminata

L’elemento che ha fatto propendere la Corte d’appello in maniera decisiva per la qualificazione degli intermediari come agenti è la previsione contenuta nell’articolo 2 della lettera di incarico che, pur formalmente ribadendo la precarietà del mandato e la possibilità di scioglimento dello stesso in qualsiasi momento da entrambe le parti, esplicita in realtà un vincolo di carattere non occasionale, imponendo una particolare obbligazione di durata a carico del procacciatore

La clausola prevede infatti che “le parti si impegnano a fare in modo che l’eventuale scioglimento del rapporto avvenga tenendo conto della stagionalità delle linee dei prodotti e dunque solamente al termine della stagione estiva o invernale”.

Tale pattuizione manifesta l’intenzione delle parti di assumere un impegno connotato da stabilità e da continuità e, pertanto, estraneo al rapporto di procacciamento di affari contraddistinto dall’occasionalità dell’impegno e dalla libera iniziativa del procacciatore. 

La Corte d’appello considerava inoltre indice della continuità dell’attività oggetto del contratto e del giudizio, il fatto che i tre intermediari risultassero da diversi anni iscritti all’Enasarco in qualità di agenti.

In conclusione, la Corte d’Appello riformava totalmente la sentenza di primo grado e condannava l’impresa a pagare all’Enasarco i contributi non versati sulle provvigioni degli agenti.