CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 3483 del 12 febbraio 2020 – Per tutti gli affari conclusi durante il contratto l’agente ha diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento anche dopo la cessazione del rapporto

Rapporto di agenzia – Diritto alla provvigione – Recesso della società preponente

Fatti di causa

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 84/2017, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano, in parziale accoglimento di ciascuna delle separate impugnazioni poi riunite, proposte dalla società B. Italia s.p.a e da L.M., rideterminava in euro 358.645,51 il credito di quest’ultimo in relazione al rapporto di agenzia intercorso tra le parti fino al 15 marzo 2010.

2. Il Tribunale aveva condannato la preponente al pagamento di differenze a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, di indennità di risoluzione del rapporto e suppletiva di clientela ai sensi dell’AEC e di provvigioni postume ex art. 1748, terzo comma, cod. civ. In particolare, aveva ritenuto che il recesso della società preponente fosse privo di giusta causa e che l’ammontare dell’indennità sostitutiva del preavviso fosse pacifica tra le parti. I residui crediti erano stati quantificati in favore del ricorrente sulla base di accertamenti peritali considerando, quanto alle provvigioni postume, gli ordini derivati da aggiudicazioni di forniture ospedaliere conseguite dalla preponente in costanza di rapporto e da aggiudicazioni ottenute nei sei mesi successivi al recesso, nonché da aggiudicazioni successive ottenute a seguito di un’offerta pubblica presentata dal M. in qualità di agente, con esclusione di eventuali proroghe.

3. La Corte di appello, ribadita la qualificazione del rapporto come di agenzia, essendosi il ricorrente impegnato a promuovere, sia pure con le particolarità connesse allo specifico settore in cui la preponente operava, la stipulazione di contratti di fornitura dei prodotti della società dietro il pagamento di compensi aventi natura di provvigioni, calcolate in percentuale sulle vendite, osservava quanto segue:

– stante la natura pubblica della clientela e la conseguente specifica regolamentazione delle forniture attuate mediante bandi di gara, la promozione dei contratti si era realizzata mediante aggiudicazione dei contratti, alla quale di volta in volta avevano fatto seguito gli ordinativi di merce;

– quanto alla censura concernente le c.d. provvigioni postume con riferimento agli importi oggetto delle aggiudicazioni, erano fondate le censure mosse dalla società, in quanto l’art. 5 del contratto di agenzia prevedeva che all’agente erano dovute provvigioni da calcolarsi sugli importi netti di tutte le fatture emesse dal preponente conseguenti agli ordini procurati dall’agente o comunque provenienti dai clienti nella zona riservata in esclusiva all’agente; che dunque la clausola contrattuale faceva univoco riferimento testuale alle provvigioni maturate in presenza di un effettivo ordine di fornitura con l’emissione di fattura e non già all’atto di mera aggiudicazione;

– si trattava di forniture ospedaliere in cui l’aggiudicazione costituisce presupposto di un accordo-quadro volto a disciplinare prezzi e condizioni delle successive forniture di materiale, da attuarsi mediante specifici ordinativi, seguiti di volta in volta dall’emissione di singole fatture; si desumeva dai contratti di aggiudicazione come i quantitativi oggetto delle aggiudicazioni iniziali fossero meramente presuntivi e non corrispondessero necessariamente ad altrettante effettive forniture, destinate ad attuarsi in concreto sulla base di specifiche richieste via via trasmesse alla società dalla struttura sanitaria a seconda delle effettive necessità;

– pertanto, la provvigione andava calcolata non sull’intero importo oggetto di aggiudicazione, bensì sulle fatture emesse dal preponente conseguenti agli ordini dallo stesso ricevuti, di modo che i crediti per c.d. provvigioni postume, ai sensi dell’art. 1748, terzo comma, cod. civ. dovevano essere rideterminati entro tali limiti;

– neppure era condivisibile l’estensione del periodo di riferimento all’ulteriore semestre successivo al termine del periodo di preavviso, poiché tale estensione, avendo il preavviso mera efficacia obbligatoria (art. 10 AEC), risolverebbe nell’ingiustificata duplicazione dell’arco temporale stabilito dalla citata disposizione contrattuale collettiva;

– gli importi delle provvigioni postume sono così stati rideterminati con c.t.u. contabile sulla base delle fatture effettivamente emesse dalla società nel periodo dei sei mesi successivi per un totale di euro 81.432,23. In tal senso, doveva essere accolto parzialmente l’appello della B.;

– in merito all’appello proposto dal M., l’importo richiesto nel ricorso originario a titolo di indennità sostitutiva del preavviso era proprio la somma di euro 82.415,01 e questa non poteva includere l’incidenza del provvigioni postume (art. 10 AEC);

– quanto al patto di non concorrenza contenuto nell’art. 6 del contratto di agenzia, che secondo il ricorrente sarebbe nullo in ragione del tempo del pagamento del corrispettivo (avvenuto in corso del rapporto anziché alla sua cessazione) per cui i relativi importi andrebbero considerati alla stregua di provvigioni con conseguente inclusione nella base di calcolo di tutti gli istituti di legge, la dedotta nullità del patto, quand’anche in ipotesi configurabile, giustificherebbe la restituzione dei relativi corrispettivi, ma non già la loro riqualificazione in termini di provvigioni;

– è invece fondato il motivo concernente l’indennità ex art. 1751 cod. civ. dovendosi escludere la natura meramente propagandistica dell’attività svolta da M. ed essendo del tutto generiche le affermazioni della società in ordine ai nuovi clienti dallo stesso procurati (22 su un totale di 33) e all’incremento di fatturato conseguito durante il corso del rapporto in base agli estratti conto provenienti dalla stessa preponente; anche nella fase di appello la società non aveva specificamente contestato la sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 1751 cod. civ.;

– il credito, rideterminato a mezzo di c.t.u., ammontava ad euro 194.798,27 riferito alle provvigioni maturate durante gli ultimi interi cinque anni rapporto di agenzia.

– riguardo alla mancata applicazione degli interessi di cui al d.lgs. 231 del 2002, l’art 11 del decreto prevede espressamente che le disposizioni in esso contenute non si applicano ai contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002, quale è quello oggetto di causa, e pertanto del tutto correttamente il primo giudice aveva applicato la disposizione di cui all’art. 429 cod. proc. civ.

4. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il M. sulla base di quattro motivi.

Ha resistito con controricorso la soc. B. Italia s.p.a. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1748 cod. civ., dell’art. 1321 cod. civ., dell’art. 3 d.lgs. 163 del 2006 (e successive modifiche), dell’art. 5 del contratto di agenzia (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) in relazione al mancato riconoscimento delle c.d. provvigioni postume richieste dal ricorrente a fronte delle aggiudicazioni. Si assume che il testo dell’art. 1748 cod. civ. prevede il diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per effetto dell’intervento dell’agente e, se nell’ordinamento previgente alla riforma del 1999 la maturazione della provvigione riguardava gli affari che avessero avuto regolare esecuzione, nella nuova disciplina va distinto il diritto alla provvigione che si matura alla conclusione del contratto rispetto al momento in cui il diritto diventa concretamente esigibile. Il quarto comma della stessa norma prevede che le provvigioni c.d. postume spettano nel caso in cui la proposta è pervenuta alla preponente in data antecedente allo scioglimento del contratto e gli affari sono stati conclusi entro un termine ragionevole da tale data.

In particolare, si assume che non è possibile equiparare gli ordini alla proposta contrattuale, in quanto i titoli dei bandi di fornitura e il contenuto di capitolati indicano chiaramente che i contratti proposti sono contratti di somministrazione previsti dagli artt. 1556 e seguenti cod. civ.. Ne consegue che gli affari procurati dall’agente al preponente attengono alla stipulazione del contratto di fornitura di dispositivi medicali, stipulazione strettamente collegata all’aggiudicazione, i cui termini contrattuali sono identificati nei capitolati dei bandi di gara. Si censura la sentenza per avere confuso la maturazione del diritto con l’esigibilità concreta del pagamento, ritenendo che la provvigione maturi soltanto in presenza di un effettivo ordine di fornitura e si sostiene che, secondo questa errata logica interpretativa, un contratto di fornitura e somministrazione verrebbe a trasformarsi in tanti contratti quanti sono i beni di volta in volta somministrati. Si censura altresì la sentenza per avere definito accordo-quadro un contratto di cui non era stato analizzato il testo e comunque, ai sensi della legge n. 163 del 2006, un accordo-quadro non è un contratto definitivo e perfetto, ma un accordo che impone regole generali cui devono conformarsi i successivi contratti che vengono stipulati dai fornitori con gli enti pubblici a seguito di gare pubbliche. Ben diverso è il caso in esame, in cui i contratti di fornitura sottoscritti dalla società preponente con le aziende ospedaliere costituiscono, ciascuno, un contratto perfetto e definitivo e soprattutto illimitatamente vincolante.

Alla stregua di tali argomenti, si denuncia l’errato calcolo delle provvigioni ad opera del C.t.u. (da pag. 34 a pag. 60), con la precisazione che la differenza rivendicata è da attribuire solo a quella parte del fatturato garantito dagli obblighi di fornitura imposti dai capitolati e sottoscritti dalla mandante già con la presentazione dell’offerta.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1748 c.c. e dell’art. 3 d.lgs. 163 del 2006.

Si censura l’affermazione della Corte d’appello secondo cui i contratti di fornitura stipulati tra fornitore e azienda sanitaria sarebbero stati realtà meri accordi-quadro. In particolare, si deduce che il ricorrente aveva chiesto in giudizio un ordine di esibizione di tali contratti, formulando istanze istruttorie, poi reiterate in appello, documenti che la società non aveva mai prodotto in giudizio.

3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 1751-bis cod. civ. e della normativa contrattuale collettiva (AEC) del settore commercio, quanto al mancato pagamento del corrispettivo del patto di non concorrenza post-contrattuale. Si deduce che, pacifica essendo l’accettazione di tale patto, l’art. 1751-bis cod. civ. prevede che in occasione della cessazione del rapporto l’agente commerciale ha diritto alla corresponsione di una indennità a tale titolo e l’art. 7 AEC stabilisce che, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 1751-bis cod. civ., compete il pagamento dell’indennità di natura non provvigionale in un’unica soluzione alla fine del rapporto. Si sostiene che la clausola di cui al punto 6 del contratto individuale, con la quale la preponente aveva riconosciuto all’agente un’ulteriore provvigione pari al 2% del fatturato netto a titolo di patto di non concorrenza, era da ritenere nulla per contrasto con la norma imperativa di legge che stabilisce l’inammissibilità della corresponsione dell’indennità in corso di rapporto sotto forma di supplemento del corrispettivo; essa, dissimilando una prestazione ulteriore dell’agente, era da riqualificare come supplemento di provvigione.

4. Il quarto motivo denuncia falsa applicazione della normativa contenuta nel d. Igs. n. 231 del 2002 e della normativa contrattuale di cui all’art. 6 AEC 2009 riguardo al pagamento degli interessi. Si deduce che l’art. 6 citato fa riferimento, per la determinazione degli interessi moratori in caso di ritardato pagamento, al d.lgs. 231 del 2002 ai fini della determinazione contrattuale degli interessi passivi applicabili. Trattasi di previsione di miglior favore contenuta nell’AEC, che estende la tutela legale a tutte le violazioni e cioè ai ritardi di pagamento che si siano realizzati quanto meno dall’entrata in vigore della disciplina collettiva.

5. Il ricorso è infondato.

5.1. Va premesso che, a seguito della legge 15 febbraio 1999 n. 65 di attuazione della Direttiva Europea in materia di agenzia, per tutti gli affari conclusi durante il contratto l’agente ha diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento (art. 3 della legge che ha così modificato l’art. 1748, primo comma, del cod. civ.). Salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all’agente, al più tardi, inderogabilmente dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico (art. 3 della legge che ha così modificato l’art. 1748, quarto comma, del codice civile). In tal modo la legge, sulla falsa riga del modello tedesco, ha distinto tra il momento di acquisizione della provvigione e il momento di esigibilità della provvigione già acquisita. Il momento di acquisizione è il momento in cui l’operazione promossa dall’agente è stata conclusa tra le parti; il momento di esigibilità è il momento in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione. Nella nuova disciplina giuridica, dunque, il fatto costitutivo della provvigione è la conclusione del contratto. Condizione di esigibilità è invece l’esecuzione del contratto da parte del preponente: la provvigione è esigibile nel momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione. Non è quindi necessaria la prova del buon fine dell’affare e cioè, in sostanza, dal pagamento del prezzo da parte del cliente. Indubbiamente, quindi, le leggi di attuazione della direttiva comunitaria prevedono una disciplina di maggior tutela del diritto alle provvigioni da parte dell’agente sia per quanto riguarda il momento genetico, sia in merito all’onere probatorio. Tuttavia anche nella nuova disciplina l’agente ha l’onere di provare, se non la esecuzione del contratto da parte del terzo, la conclusione del contratto e di specificare, nel caso di una pluralità di contratti promossi, quali siano stati i contratti conclusi e per quale ammontare. La nuova disciplina, in sostanza non solleva l’agente dall’onere di precisare i fatti e di provare i fatti costitutivi del suo diritto alla provvigione e la conclusione tra le parti dei contratti da lui promossi.

6. Tutto ciò premesso, quanto al primo motivo, va osservato che le censure di ordine giuridico non investono l’interpretazione del contratto individuale di agenzia, che è stato oggetto di esame da parte della Corte di appello. Questa, in particolare, ha riferito che l’art. 5 del contratto di agenzia prevedeva che all’agente erano dovute provvigioni da calcolarsi sugli importi netti di tutte le fatture emesse dal proponente conseguenti agli ordini procurati dall’agente o comunque provenienti dai clienti nella zona riservata in esclusiva agente. Ad avviso della Corte di appello, l’interpretazione delle clausole contrattuali avvalorava una lettura secondo cui le provvigioni erano dovute in relazione alle fatture emesse per gli “ordini” di forniture sanitarie nel periodo di riferimento. Il primo motivo di ricorso, pur nella sua corposa articolazione, non censura tale interpretazione dell’atto negoziale, incentrata sul rilievo letterale del concetto di “ordinativo” (di merce) di cui al contratto individuale stipulato tra le parti.

6.1. Secondo l’accordo negoziale, dunque, occorreva avere riguardo agli specifici ordini effettuati dall’ente pubblico sulla base delle condizioni del capitolato e non in base all’aggiudicazione da parte di B. della gara pubblica.

7. L’esame del secondo motivo resta assorbito nel rigetto del precedente, poiché, anche ove fosse fondata la censura in ordine al contenuto del contratto stipulato tra la società preponente e la P.A., comunque resterebbe decisiva l’interpretazione del contratto individuale (non specificamente censurata, come già detto), che aveva regolato il diritto alle provvigioni in relazione ai singoli ordinativi di merce e non in via generale ed astratta con riguardo al contenuto obbligatorio dei contratti di fornitura intervenuti tra la preponente e le Aziende ospedaliere.

7.1. Va poi aggiunto che i contratti di fornitura (seppure prodotti in atti) non sono stati trascritti, almeno nelle parti essenziali, nel ricorso, in violazione del disposto di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., per cui non è neppure possibile valutarne la rilevanza ai fini del decidere.

8. Quanto al terzo motivo, esso si diffonde nel tentativo di dimostrare che il supplemento di provvigione di cui al punto 6 del contratto dissimuli in realtà le provvigioni dovute dalla mandante ai sensi dell’art. 1748 cod. civ. per un’ulteriore attività svolta dall’agente. Tale tentativo si infrange con l’accertamento del giudice di merito, non censurabile nella presente sede, secondo cui il “presunto accordo simulatorio” era “del tutto privo di sostegno probatorio”. Un volta esclusa tale causale della erogazione, la tesi della nullità della clausola – quand’anche fondata – comporterebbe unicamente l’effetto di ritenere le relative somme corrisposte sine titulo, come correttamente ritenuto dalla Corte di appello, e suscettibili come tali di ripetizione. A fronte del complesso motivazionale sul quale la sentenza si fonda, neppure specificamente censurato, non è comprensibile quale sia l’interesse del ricorrente a vedere accolta la tesi della nullità della anzidetta clausola contrattuale.

9. In ordine al quarto motivo, va osservato che, quando sia denunziata in ricorso la violazione di norme del contratto collettivo la deduzione della violazione deve essere accompagnata dalla trascrizione integrale delle clausole, al fine di consentire alla Corte di individuare la ricorrenza della violazione denunziata (cfr. Cass. n. 25728 del 2013, n. 2560 del 2007, n. 24461 del 2005) nonché dal deposito integrale della copia del contratto collettivo (Cass. SU n. 20075 del 2009) o dalla indicazione della sede processuale in cui detto testo è rinvenibile (Cass. S.U. n. 25038/2013).

9.1. Nella fattispecie di causa, le clausole del contratto collettivo di cui si denunzia la violazione (articolo 6 dell’ AEC) non sono riportate, sicché non è consentito alla Corte alcun esame del loro effettivo ed integrale tenore testuale.

10. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d. P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 10.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.